
Come vivono gli allevatori di bestiame? Quali difficoltà devono affrontare? Quali vantaggi offre questo stile di vita?
La giornalista e scrittrice tedesca Uta Ruge esplora queste domande nel suo libro “Le mucche, mio nipote e io – Crescere, lavorare e vivere con i grandi animali”.
Partendo dal contesto familiare, il libro si espande sulla rilevanza dell’allevamento nella nostra cultura – presente e passata – con il desiderio di collegare i cittadini alla realtà agricola e di abbattere possibili pregiudizi.
Il punto di vista è quello di una persona che ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in una fattoria gestita dai propri genitori in condizioni difficili di migrazione. Abbiamo intervistato Uta Ruge.
L'intervista a Uta Ruge
1.Cosa l’ha spinta a scrivere ‘Le mucche, mio nipote ed io’? Quali esperienze personali o professionali hanno influenzato la sua decisione di esplorare il rapporto tra uomo, animali e allevamento con un approccio non convenzionale?
Sono stata motivata da un tema molto attuale: l’aspetto sociale dell’alimentazione. Si parla sempre più di alimentazione vegetariana o vegana, che sicuramente può essere ottima. Ciò che trovo preoccupante, tuttavia, è che un’alimentazione senza carne venga oggi spesso presentata come moralmente superiore. Per questo ho deciso di esplorare nuovamente il mio rapporto con gli animali, in particolare con le mucche, scegliendo tre prospettive: quella della mia infanzia, quella della domesticazione reciproca tra uomo e mucca – in cui i bovini hanno un ruolo culturale fondamentale – e infine quella di mio nipote, che è allevatore di mucche da latte.
2. Nel libro emerge una forte connessione con il mondo rurale. Qual è il suo legame personale con la vita di campagna e con gli allevatori? Come questa esperienza ha influenzato la sua rappresentazione del rapporto tra uomo e grandi animali?
Da oltre 50 anni vivo in città, ma solo nel 2015, quando ho iniziato a scrivere il libro sul mio villaggio natale, mi sono resa conto di quanta influenza abbiano ancora su di me le mie radici legate al lavoro agricolo. Le reazioni dei miei amici cittadini alla tematica trattata nel libro hanno confermato quanto sia marcata la differenza tra un’origine urbana e una rurale – una differenza che diventa visibile non appena se ne parla. Con questo libro volevo approfondire ulteriormente quanto il mio passato e la mia formazione siano stati segnati dalla presenza delle mucche.

3. Che ruolo avevano l’allevamento e gli animali nella sua famiglia e infanzia? Quali ricordi o eventi l’hanno ispirata particolarmente nella scrittura?
L’atmosfera di quell’ambiente mi è rimasta impressa: gli odori, i suoni, le relazioni con il luogo, le persone e gli animali – tutto era connesso. Quando penso agli animali, penso innanzitutto al lavoro e al senso del dovere – ma anche all’affetto e alla cura. Una delle immagini che mi ha ispirata è il ricordo di quando camminavo dietro alla mandria durante il pascolo quotidiano.
Un altro ricordo vivissimo è la nascita dei vitelli: momenti unici di aiuto, dalla mucca che spinge fuori il vitello fino alla pulizia del neonato, asciugandolo e stimolandolo a respirare con l’aiuto di un filo di paglia strofinato sul naso per farlo starnutire ed eliminare il muco.
4. Nel suo libro descrive il ruolo dell’allevamento di bestiame in passato e condivide le sue impressioni sulle visite alle fattorie di oggi. Quali principali differenze ha osservato tra il modo in cui le persone vivevano e lavoravano con gli animali in passato rispetto ad oggi?
In passato si trascorreva più tempo con i singoli animali, e in generale si lavorava con meno fretta. Questo vale per quasi tutti gli ambiti della vita, ma con gli animali è particolarmente importante. Li alleviamo, ma siamo in debito con loro: dobbiamo garantire che abbiano una vita dignitosa, tributando loro attenzione e armandoci di pazienza. Chi sceglie di prendersi cura degli animali in modo rispettoso spesso paga un prezzo personale – in termini di fatica fisica e mentale, correndo il rischio di burnout. In generale, oggi, c’è anche una forte spinta economica nella produzione di latte e carne, chi non vuole che siano gli animali a farne le spese, se ne assume il carico personalmente. Per questo è molto importante per gli allevatori coltivare solidarietà, amicizia e affetto con i vicini e i famigliari. Questo atteggiamento fa parte della nostra cultura da tempo immemore e anche oggi sopravvive, spesso nelle piccole e medie imprese. Nelle grandi imprese, invece, concorrenza e competizione possono prendere il sopravvento, accentuando il rischio di disagio.
5. Quali conoscenze ha tratto dall’osservazione del lavoro degli allevatori? Crede che il rapporto diretto con gli animali, come quello con le mucche, possa ancora avere un ruolo significativo nella nostra società moderna?
Riesaminando tutto in modo molto dettagliato – così dettagliato da poterlo descrivere (e questo non lo fa nessun allevatore) – mi sono resa conto di quanto sia profondamente diverso vivere con gli animali. Bisogna essere presenti per loro 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana. È qualcosa di totalmente fisico!
Non esiste lo smart working, né si può parlare di vacanze vere e proprie. Inoltre, gli allevatori imparano a convivere con due forti contraddizioni: la cura e la violenza. Uno degli allevatori intervistati mi ha detto: “Sin da bambini impariamo che la morte fa parte di tutto questo”. Egli porta regolarmente con sè i propri figli quando consegna gli animali al macello. Mi sembra un modello forte per insegnare che noi esseri umani siamo contraddittori. Dobbiamo imparare a tollerare le contraddizioni e l’ambivalenza, sia in noi stessi che negli altri. In realtà, proprio questo potrebbe avere un ruolo nella società moderna. Ma chi vuole saperlo? Chi vuole impararlo? Credo che sarebbero necessari molti passaggi di mediazione per rendere tutto ciò consapevole.
6. Lei apprezza l’allevamento tradizionale rispetto a quello industriale. Quale ruolo attribuisce a questo tipo di allevamento nel futuro di un’agricoltura sostenibile?
Gli esseri umani e gli animali hanno bisogno di un rapporto reciproco. Credo che solo in aziende di piccole e medie dimensioni si possa praticare un allevamento di qualità, che sia soddisfacente anche per le persone che vi lavorano. Un numero troppo grande di animali porta con sé la stessa gerarchia che troviamo nell’industria: manager, dipendenti, operai, macchine. Ho visitato anche un’azienda di questo tipo – con 1.750 mucche da latte. Le mucche, in questi grandi e moderni capannoni ben ventilati, stavano piuttosto bene. Ciò che mi ha colpito sono state le condizioni di lavoro delle persone che si occupavano fisicamente di loro; le mungevano, alimentavano e spostavano da una stazione all’altra senza alcun legame diretto, lavorando a turni e sotto grande pressione per la produttività. Si trattava per lo più di lavoratori stagionali provenienti dall’Europa orientale.

7. Nel libro mostra che gli abitanti delle città hanno spesso una visione distaccata o idealizzata della vita rurale. Qual è, secondo lei, il più grande fraintendimento che i cittadini hanno sull’allevamento e sul mondo agricolo?
Il più grande fraintendimento? Difficile da dire… Forse il fatto che i cittadini pensino che l’allevamento di bestiame o la cura degli animali significhi una brutalità dell’uomo verso gli animali. Da questo vogliono distanziarsi, senza riconoscere minimamente che esiste un ciclo millenario con l’agricoltura, in cui i buoi – per citare tempi molto antichi – fertilizzano il terreno con il loro letame e trainano l’aratro, rendendo possibile la coltivazione dei cereali. Certo, c’è un asservimento degli animali, ma c’è anche un asservimento delle piante e dei terreni alla nostra alimentazione. Tutti vogliono avere la coscienza pulita, vogliono essere innocenti e “puliti”, ma i nostri alimenti nascono dalla terra, dal letame, dal fango. La vita non è innocente. La vita non è in tutto una categoria morale.

8. Nel suo libro analizza come l’allevamento di bestiame e la vita rurale siano cambiati nel tempo. Quali tradizioni, secondo lei, dovrebbero essere preservate, e quali dovrebbero adattarsi ai tempi moderni?
Credo sia molto importante preservare o creare condizioni di produzione che permettano sempre di instaurare una relazione tra l’uomo e gli animali, tra l’uomo e la terra, e tra le persone stesse. E questo dipende sicuramente dalla quantità: dal numero di persone, di animali, di ettari, ecc., con cui si ha a che fare.
I due aspetti più importanti per adattarsi alla vita moderna, a mio avviso, sono: la riduzione del lavoro fisico pesante, anche tramite l’automazione e la robotica e l’attenzione ai ruoli di uomini e donne nell’agricoltura, soprattutto nelle aziende in cui si allevano animali. Misuro il benessere che provo in una fattoria dall’attenzione e dal rispetto che vengono attribuiti alle donne e al loro lavoro.
Se mi sento a mio agio o meno in una fattoria dipende da questo.
Nata a Wiek, sull’isola di Rügen e cresciuta a Neubachenbruch, un piccolo villaggio vicino alla foce del fiume Elba, ha studiato germanistica e politica nelle università di Marburgo e Berlino. Nel 1985 si è trasferita a Londra, dove ha lavorato per tredici anni come giornalista freelance per giornali ed emittenti radiofoniche tedesche. Ha inoltre, condotto interviste con rifugiati e migranti, scritto reportage su persone in esilio e ai confini, e analizzato le differenze politiche e culturali tra il Regno Unito e l’Europa continentale.
Dopo la caduta del muro di Berlino, ha iniziato a viaggiare nell’Europa dell’Est, tornando spesso nel suo villaggio natale. Da queste esperienze è nato il suo libro “Windland – Una famiglia tedesca su Rügen” (2003, Kindler, Berlino).
Affascinata dal metodo Feldenkrais, si è formata come insegnante tra il 1995 e il 1999 in Inghilterra. Nel 2004 è stata redattrice del libro “Prima ho camminato con la mente”. D ha scritto sul tema numerosi saggi.
Sempre sensibile ai temi agricoli e alla loro elaborazione autobiografica, nel 2020 ha pubblicato “Contadini, terra. La storia del mio villaggio nel contesto globale” (Antje Kunstmann Verlag, Monaco di Baviera) e nel 2023 “Le mucche, mio nipote e io – Crescere, lavorare e vivere con i grandi animali”, (Antje Kunstmann Verlag, Monaco di Baviera). Questo libro è al centro della nostra intervista.
Attualmente vive a Berlino, dove lavora come autrice, insegnante Feldenkrais ed editor.
Per acquistare la versione tedesca clicca qui