Gli stimoli sensoriali provenienti dal cibo costruiscono, attraverso l’esperienza di ogni giorno, una vera e propria “memoria del gusto”, che nel nostro passato di raccoglitori e cacciatori era indispensabile per sopravvivere, aiutandoci a evitare avvelenamenti e a scegliere gli alimenti più adatti a noi. Questa memoria inizia a prendere forma già nella vita intrauterina, quando gli stimoli che provengono dal liquido amniotico trasmettono al nascituro alcuni tratti del profilo gustativo della dieta materna.
È una memoria attiva ancora oggi, anche se ora caccia e raccolta avvengono prevalentemente nei supermercati, dove non è facile basarsi sui sensi per scegliere il cibo. Le confezioni che frequentemente lo racchiudono, rendono inavvicinabili i suoi aromi e tendono a confondere la vista con forme e colori accattivanti, ma non sempre corrispondenti alle sue qualità.
Una volta aperti, molti di questi involucri forniscono cibi con sapori, aromi e consistenze studiate nei dettagli per renderli irresistibili e ingannare i sensi. Dolcezza e sapidità intensi, cremosità che stuzzicano il palato riproducendo le sensazioni della suzione del seno materno, croccantezza capace di scaricare la tensione nervosa attivando i riflessi ancestrali legati alla masticazione, rischiano di squilibrare la regolazione istintiva di fame e sazietà, lasciandoci in balia di sensazioni ed emozioni che non riusciamo a guidare.
Una memoria del gusto generata solo da cibi industriali e processati può renderci dei veri e propri “analfabeti del gusto”, incapaci di apprezzare altri tipi di alimenti.
La varietà resta quindi la strada migliore per formare un’ampia memoria del gusto, in grado di guidarci senza bisogno di tabù e prescrizioni nei confronti di particolari ingredienti, compresi quelli che provengono dal cosiddetto “design del gusto”.