In questo periodo ci si domanda se sia necessario parlare con i più piccoli della guerra, o se proteggerli da queste notizie.
Offro tre contributi alla discussione. Il primo proviene dalla cultura pop, il secondo da una antica leggenda, il terzo dalle riflessioni di due studiosi.
Di Tiziana Luciani
Una canzone che aiuta a riflettere
Il primo contributo è una canzone: “Come Away Melinda“, composta da Fred Hellerman e Fran Minkoff, che venne interpretata da Harry Belafonte nel 1963, diventando poi una cover prediletta da vari artisti. Ve ne propongo due strofe, ma vi consiglio di ascoltarla per intero:
“Papà, papà, vieni a vedere
guarda cosa ho trovato
poco lontano da qui
mentre scavavo nel terreno
Vieni via Melinda
entra e chiudi la porta
non è niente, solo un album di foto
di prima della guerra”
Il padre è reticente nel dare spiegazioni, nell’album ci sono le foto della mamma e di altre bambine, morte in guerra.
Una antica leggenda indiana
Il secondo contributo proviene da una antica leggenda indiana. Si racconta che il re Suddhodama, padre del principe Siddharta, volle tenere il figlio lontano dalla vecchiaia, la malattia, la morte. Il ragazzo visse beato ma, crescendo, la curiosità lo spinse a infrangere quel divieto, a uscire dalla reggia andando nelle vie della città, dove entrò in contatto con queste dimensioni della vita. Dobbiamo, come il padre di Melinda o quello di Siddharta, tenere lontano dalla realtà, che purtroppo comprende anche la guerra, figlie e figli? Ci sarà sempre una bambina che, tenace, scaverà nelle profondità del passato, un adolescente che con agilità salterà il muro della eccessiva protezione…
Il contributo di due ricercatori
Ecco Il terzo contributo: Alfred e FranÇoise Brauner, lui sociologo dell’infanzia, lei pediatra e psichiatra infantile, affermano che hanno bisogno di esprimersi graficamente sulla guerra, sia i bambini e le bambine che ne fanno esperienza, sia i minori di nazioni non coinvolte nel conflitto. A seguito del disastro di Cernobyl, i due studiosi proposero a bambini e bambine di varie parti del mondo di disegnare su quel terribile evento. Se per lontananza geografica non erano stati esposti alle radiazioni, erano stati raggiunti dalle notizie in merito. Nei disegni avevano la possibilità di elaborarle.
Parlarne?
Quindi: dire o non dire della guerra? Lo sappiamo, i bambini e le bambine hanno invisibili antenne fra i capelli, con le quali captano quel che noi adulti diciamo, ma anche quel che non diciamo. Secondo alcuni genitori i loro figli e le loro figlie sono al sicuro, perché in casa i telegiornali sono banditi. Ma quelle brutte notizie arrivano lo stesso, attraverso i coetanei, i social, la scuola. Meglio affrontarle insieme, dedicando cura a questo momento di condivisione.
Un contributo personale
Offro un contributo personale: nel 1963 la sera del 9 ottobre avvenne il disastro del Vajont. Una frana precipitò dal monte Toc su un bacino idro-elettrico. La tracimazione di acqua e fango distrusse diversi paesi, morirono 1.197 persone, tra le quali 487 minori. Non avevo ancora 7 anni. Mio padre provò a spiegarmi quel che era successo. La sera per farmi dormire tranquilla mia madre mi diede un po’ di zucchero. Mi addormentai pensando a quelle parole e sciogliendo piano, piano i granelli dolci nella bocca.
Come parlarne?
Ogni età ha il suo linguaggio: se abbiamo figli e figlie in età della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, affrontiamo l’argomento con albi illustrati che, con un linguaggio metaforico, trattano questi temi. Se abbiamo figlie e figlie pre-adolescenti la familiarità con i videogiochi potrebbe indurli a vedere nel conflitto una replica di tali intrattenimenti. Con loro sviluppiamo l’empatia, attraverso storie di vita vissuta. Insieme recuperiamo un senso di auto-efficacia compiendo gesti concreti, che mettono al riparo dal cinismo e dalla sensazione di impotenza. E poi, sopra ogni altra cosa, educarli alla pace, alla risoluzione dei conflitti, alla ragionevolezza, al rispetto di sé e degli altri…
Concludo con una citazione di Alfred e Françoise Brauner, che hanno dedicato le loro vite ai bambini e alle bambine, vittime innocenti della storia: “Ciò che conta è istillare l’idea della pace fin dalla più tenera età. La pace significa amicizia, ed esclude la forza bruta e la morte”.[1]
Nel testo accenno agli albi illustrati che, con linguaggio metaforico, possono aiutare bambini e bambine della scuola dell’infanzia e della primaria ad approcciare il tema della guerra.
[1] Alfred e Françoise Brauner, Ho disegnato la guerra, Edizioni Erickson, Trento, 2003, pag.100.
SUGGERIMENTI PER LA LETTURA
SUGGERIMENTI PER LA LETTURA
Bisognerà, Thierry Lenain, Lapis Edizioni, 2005.
Cavalcavia, Gek Tessaro, Carthusia, 2016.
Il giorno che non venne la guerra, Nicola Davies, Nord Sud Edizioni, 2018.
Il muro, Giancarlo Macrì, Carolina Zanotti, Mauro Sacco, Nuinui Editore, 2018
Il nuovo nido del piccolo Marsù, Benjamin Chaud, Bohem Press, 2017.
La fioraia di Sarajevo, Mario Boccia, Orecchio Acerbo Editore, 2021.
La guerra, Josè Jorghe Letria, Salani Editore, 2020.
Odore di bombe, profumo di pioggia, Arianna Papini, Bacchilega, 2020.
Tilli e il muro, Leo Lionni, Edizioni Fatatrac, 1989.
Una coperta di parole, Irena Kobald, Freya Blackwood, Mondadori, 2015.
TIZIANA LUCIANI
TIZIANA LUCIANI
psicologa-psicoterapeuta e arte terapeuta clinica. Docente della Scuola di formazione per arte terapeuti de La Cittadella di Assisi. Si occupa di formazione degli adulti dal 1980 nell’ambito: sanitario, sociale, educativo. Giornalista-pubblicista ha pubblicato: Se perdo te. Quando il lavoro manca (in collaborazione con Giovanni Grossi, Pliniana, 2013), E corrono ancora. Storie italiane di donne selvagge (Frassinelli, 2014), Eroine ed eroi in corso (Carthusia, 2021). Che forza! (con le illustrazioni di Bimba Landmann, Carthusia, 2021),
I come inquietudine (Cittadella Editrice, 2021). In uscita: La nostalgia dei sogni (in collaborazione con Alberto Terzi). Lavora a Perugia, Milano e Roma.