Di Valeria Cantoni
Iniziamo il nuovo anno con un tema che ci sta particolarmente a cuore: la capacità di cura. Una dote insita nella natura femminile penalizzata da un modello sociale che premia la competizione e la forza.
Accogliamo quindi con riconoscenza il Contributo dell’amica Valeria Cantoni, filosofa e scrittrice, che ha da poco pubblicato il libro “Leadership di cura”, fornendoci una chiave di lettura che può interessare ciascuna di noi.
Il periodo che stiamo attraversando ci rende bisognosi di cura
Siamo in una crisi economica ma soprattutto in una crisi di cura. E siamo vulnerabili, tutti, senza eccezione, poveri e ricchi, potenti e non.
Che il mondo fosse vulnerabile era evidente anche prima ma che lo fossimo tutti noi esseri umani non era così presente nella vita quotidiana delle persone delle società occidentali economicamente avanzate. Prima che arrivasse il Covid.
Così la cura in una manciata di mesi si è trasformata da Cenerentola delle attitudini sociali a regina richiesta, ambita e pretesa. Ma è una novità dell’ultima ora. Fino a oggi la cura non interessava quasi a nessuno.
Notoriamente badanti, insegnanti, casalinghe, colf, infermiere, perlopiù donne, sono tra le professioni meno pagate e meno riconosciute sul piano sociale.
La cura è una prerogativa femminile?
Forse perché la cura è sempre stata prerogativa delle donne? E le donne sono state etichettate come “sesso debole” dalla società civilizzata sviluppata culturalmente sul mito della forza, sull’autonomia dell’individuo e sulla competizione come condizione necessaria per il progresso e il successo. Storicamente ha prevalso la logica della guerra, del timore verso l’autorità, della colpa del corpo, logica che ha governato in una società economicamente, culturalmente ed emotivamente dominata dal patriarcato. I sentimenti come tristezza, melanconia, rabbia, delusione, imbarazzo, senso di impotenza, fragilità sono stati colpevolizzati e ridicolizzati fino a rivoltarsi contro chi abbiamo imparato a considerare più debole o inferiore.
Cosi la cura, pratica e capacità attribuita alle donne dalla società degli uomini, è finita negli ultimi posti delle capacità utili alla società del progresso, al lavoro e al successo individuale. Il senso del limite è stato spazzato via dalla cultura del “no limits” dell’”uomo che non deve chiedere mai”, dal mito del workhaolic e dall’idea che per fare carriera bisogna avere “le palle”.
Così si è fatto strada, non solo sui campi di battaglia, ma anche sui luoghi di lavoro, lo stile autoritario, aggressivo, competitivo, dominante, facendo identificare gli uomini, fin da bambini, con questi modelli e stereotipi che di fatto sostengono la mancanza di empatia come qualità utile per chi mira a fare carriera.
Tutto questo ha veramente svalutato la realtà dei fatti: che siamo intradipendenti, che dipendiamo l’uno dall’altro e dalla natura in un unico sistema connesso e che nessuno può avere l’arroganza di pensare di non avere bisogno della cura altrui.
Con la pandemia è accaduto qualcosa di straordinario: i leader hanno iniziato a realizzare di essere vulnerabili e i manager a comprendere che la gentilezza e la cura sono importanti tanto quanto la fiducia e la motivazione.
Costruire una nuova cultura della cura
Da qui urge costruire tutti insieme una nuova cultura di cura, necessaria a riparare le ferite di una comunità scossa e frammentata come la nostra.
Nelle organizzazioni, in questi due anni, le persone più empatiche e che si sono prese cura dei colleghi e delle colleghe, hanno fatto la differenza, sono stati i nuovi eroi. I loro superpoteri sono la dolcezza, l’ascolto, la pazienza, il rispetto dei tempi altrui.
Queste persone hanno saputo tenere insieme i gruppi sfilacciati dal lavoro remoto forzato, perché hanno speso tempo ad ascoltare le storie altrui con tutto il portato emotivo che le accompagnava.
Una parola gentile, una mail inviata pensando prima all’orario in cui la si manda, l’attenzione alle parole, uno zoom che inizia con “come stai?”, tutto questo può divenire cultura e abitudine appresa o ricadere nuovamente nei comportamenti adottati solo in emergenza. Ma è cura anche la capacità di fidarsi e affidarsi agli altri responsabilizzandoli. Sta a ognuno di noi prendersi la responsabilità delle proprie azioni, gesti e parole, sapendo che quello che facciamo o non facciamo, che diciamo o non diciamo, ha un impatto sugli altri, sulle loro energia e sulle loro emozioni e motivazioni. Questa attenzione e consapevolezza non hanno sesso, non sono capacità da attribuire al generare, ma sono qualità umane che ogni leader dovrebbe imparare a fare proprie per traghettare un paese, una città, una comunità o anche solo un piccolo gruppo in un domani sostenibile per tutti.
VALERIA CANTONI MAMIANI
IL LIBRO
VALERIA CANTONI MAMIANI
è consulente filosofa, formatrice manageriale e autrice. Ha dato vita a Leading by Heart, progetto formativo che accompagna i manager a sviluppare uno stile di leadership inclusiva ed empatica. È presidente di ArtsFor, società di consulenza culturale e di sviluppo organizzato. È docente del corso Arte e Impresa all’Università Cattolica di Milano. Dal 2016 è membro del comitato artistico di Triennale Milano Teatro.
Nel 2021 ha pubblicato il libro Lingua, estetica della soglia (Fefé editore) e il saggio “Learning by heart: al di là del principio di volontà” nel volume Volontà. Esempi per fare, non fare, resistere e ottenere (ed. Fabbrica dei segni). Leadership di cura è il suo ultimo libro.
IL LIBRO
- Titolo: “Leadership di cura” dal controllo alle relazioni
- Autrice: Valeria Cantoni Mamiani
- Casa Editrice: Vita e Pensiero
- Prezzo: € 18,00