di Paola Dorigoni
Affrontare una separazione è sempre un percorso complesso e faticoso. Una esperta ci aiuta a comprendere meglio le possibili strade da percorrere.
Chiariamo un equivoco ricorrente
Care Amiche,
accade ormai di frequente che le persone intenzionate a separarsi ricorrano al legale e, nello studio dell’avvocato, spesso senza il partner, chiariscano subito un punto preliminare, che si può riassumere nell’ affermazione “intendo separarmi consensualmente. Non voglio una separazione giudiziale“.
Questo assunto valido in principio e comprensibile richiede però qualche spiegazione.
Perché si puntualizza di non volere una separazione giudiziale?
Perché le notizie che arrivano da fonti diverse, che vanno dalle esperienze di amici, alle trasmissioni televisive, agli articoli di quotidiani e periodici, sono conformi: la separazione giudiziale è un procedimento lungo, esaspera le coppie già in difficoltà mentre vivono i primi tempi della separazione; i costi economici sono sicuramente maggiori rispetto ad una separazione che “nasce” consensuale.
Tutto vero, ma un po’ semplificato e qui vediamo se riusciamo a dipanare qualche equivoco.
Innanzitutto precisiamo un dato che può apparire ovvio, ma accade che non lo sia: per presentare una separazione consensuale, o un accordo di negoziazione assistita (che è l’equivalente) occorre trovare, appunto, un accordo.
Separazione consensuale significa accordo sui tre temi principali
Accordo, vuol dire che le parti hanno stabilito:
quale genitore rimarrà nella casa coniugale;
quanto sarà l’assegno di mantenimento che l’altro genitore versa per i figli e, se la situazione lo consente, per la moglie;
quali saranno i tempi che i figli trascorreranno con l’”altro genitore” con il quali non convivono.
Se la coppia ha trovato un accordo su questi tre punti essenziali, (ai quali si possono aggiungere altri accordi che riguardano la loro situazione particolare) la separazione giudiziale può senz’altro essere evitata. Ci sono gli estremi per avviare subito una separazione consensuale o redigere un accordo di negoziazione assistita.
Per completezza aggiungo che la separazione consensuale consiste in un ricorso redatto dall’avvocato per entrambi i coniugi: il ricorso viene depositato in tribunale e dopo 3 o 4 mesi si svolge l’udienza in Tribunale davanti al giudice per confermare l’accordo contenuto nel ricorso
L’aspetto che invece rimane sullo sfondo come un timore che può apparire giustificato ma deve essere chiarito è la separazione giudiziale.
Cosa significa separazione giudiziale?
Significa che uno o entrambi i partner della coppia intendono avviare la separazione ma non hanno ancora trovato un accordo su tutti o anche su uno dei tre punti indicati.
Ad esempio, non hanno deciso:
Chi rimane nella casa familiare con i figli?
Quali giorni (della settimana) e quanti giorni e quali periodi di vacanze i figli trascorrono con l’uno e con l’altro genitore?
Quanto versa il genitore che non convive con i figli per il mantenimento della prole?
Se la situazione lo richiede: quanto versa il coniuge economicamente “più forte” come mantenimento per il coniuge economicamente “più debole”?
Questi problemi aprono lo spazio a molte possibili discussioni e soluzioni che dipendono dal reddito di ciascuno dei genitori, dal tempo che i figli trascorrono sia con il genitore con il quale non convivono, sia con quello con cui convivono “in via prevalente”.
Tutte le questioni sulle quali la ex coppia non riesce a trovare un accordo sono decise dal Tribunale, con tempi che variano moltissimo (mediamente da un anno a quattro anni) a seconda della situazione.
Può essere vantaggioso avviare la separazione giudiziale?
Premessa
Da quanto abbiamo accennato la separazione giudiziale sembra l’ultima spiaggia, il mostro che si deve cercare di evitare per non dover trascinare in tribunale liti che possono protrarsi per anni e che spesso, quasi inevitabilmente, coinvolgono anche i figli.
Tutto ciò è sicuramente vero, ma occorre una puntualizzazione, che in certi casi può rappresentare una sorta di “terza via”.
Per descriverla ricorro ad un esempio frequente. Lei/lui decide di separarsi ma l’altro/a non vuole o vuole condizioni di separazione diverse da quelle proposte dall’ex partener.
Il primo/a si rivolge all’avvocato e chiede di avviare il procedimento, ma, ritorniamo al punto iniziale, vuole una separazione consensuale.
L’avvocato inizia una trattativa con la controparte ma, nel caso che qui descrivo, la trattativa non porta ad alcun risultato: a volte perché l’altra parte non vuole separarsi e rema contro ogni accordo, a volte perché pur riconoscendo entrambi la necessità di separarsi non riescono a trovare un punto di incontro sui tre/quattro punti descritti sopra.
Le trattative possono proseguire per mesi e mesi, in un clima di stress e con una fatica spesso accentuata dalla permanenza in casa della coppia, perché chi normalmente deve lasciare il domicilio coniugale si rifiuta di farlo.
Le conseguenze di una convivenza mentre “pende” nella mente di ognuno la separazione si riflette pericolosamente sul clima familiare che rischia di diventare gravemente nocivo per tutti.
Può essere molto difficile cercare una soluzione condivisa rimanendo sotto lo stesso tetto. Può essere anche molto doloroso per i figli.
Accade anche che, dopo mesi e mesi di discussione non si raggiunga alcun accordo e così esasperati si ripieghi sulla separazione giudiziale.
La possibile utilità di un “avvio” giudiziale
Come funziona, cosa provoca il deposito di una separazione giudiziale?
L’avvocato deposita un ricorso con il quale afferma che la signora Rossi (o il signore Bianchi) intende separarsi, alle condizioni che propone e che vengono precisate in detto ricorso (i tre/quattro punti di cui abbiamo detto sopra).
Non occorre fare altro. Siamo in una fase che, tecnicamente, è definita “precontenziosa”. Non occorre “sparare” addosso all’altro, ma solo cercare una soluzione soddisfacente.
Sottolineo questo approccio neutro, perché nella fase “precontenziosa” è utile evitare l’aggravamento del conflitto con considerazioni sull’altro partner, anche perché il giudice di regola non può prenderle in considerazione. Le valuterà, se le parti vogliono proseguire, “dopo”, finita la fase “precontenziosa”.
Depositando questo ricorso l’avvocato e il suo cliente ottengono un effetto importante: la fissazione di un’udienza, l’indicazione cioè di un giorno e un’ora in cui le parti si troveranno davanti al giudice per decidere i tre/quattro temi sopra menzionati.
Un altro dato di rilievo: dal deposito del ricorso alla data dell’udienza decorre un tempo di circa tre – quattro mesi (lo stesso tempo richiesto per ottenere un’udienza per confermare la separazione consensuale).
Durante questo periodo, dopo il deposito di un ricorso “giudiziale”, le parti hanno la possibilità di continuare la trattativa sapendo che: se la trattativa si concluderà porteranno l’accordo all’udienza e la separazione si trasformerà in consensuale. L’accordo viene recepito dal Tribunale come se fosse stato depositato nella separazione consensuale. Abbiamo così lo stesso risultato.
Depositando il ricorso giudiziale abbiamo l’effetto di “prenotare” un’udienza, utilizzando il periodo che precede per trovare un accordo.
Se in questi mesi non si riesce a trovare una conciliazione, si ottiene comunque un risultato: una data, un giorno, un’ora in cui il tribunale si pronuncia sui tre/quattro temi già indicati dopo aver sentito le parti e i loro avvocati che espongono i rispettivi punti di vista in questa stessa udienza.
Il giudice è tenuto a emettere i provvedimenti nel giro di pochi giorni, spesso lo stesso giorno dell’udienza. In questo modo si garantisce al partner che ha assunto l’iniziativa della separazione:
la decisione sull’assegnazione della casa, con conseguente uscita dell’altro genitore,
la quantificazione del contributo economico per il mantenimento dei figli che rimangono nella casa coniugale con il genitore con il quale vivono in via prevalente.