Riflessioni di una ginecologa
di Fiorenza Zanchi
– Nel libro “La bambina che non esisteva” Siba Shakib, scrittrice e regista iraniana che si è molto occupata della condizione delle donne in Afghanistan, descrive questo dialogo tra una ragazzina, Gol-Sar e un ragazzino, Samir:
“dopo che ti sei alzata cosa fai, chiede Samir,“…nulla, non faccio nulla”, …“Nulla?”, “Accendo il fuoco, dice Gol-Sar” “E poi?” “Nulla” dice Gol-Sar, ride, “…. accendi il fuoco e poi?”, “E poi vado al torrente a prendere l’acqua.” “E poi?” “E poi metto la pentola sul fuoco, sveglio i miei fratelli e sorelle più piccoli, li lavo e, se ce l’abbiamo, dò loro il tè. Poi impasto il pane, lo cuocio, torno al ruscello, lavo i vestiti, pulisco la tenda porto le capre al pascolo. … Nulla è una vita piena di Nulla”
Credo che, al di là del contesto, questo brano metta a nudo con estrema immediatezza il sentimento di disvalore e totale sottovalutazione che ancora oggi percepisco dominante, o mi viene riportato da tante donne che incontro nella mia professione, rispetto ad una miriade di incombenze, di lavoro senza orari né riposi o festività e tanto meno retribuzione, che la maggior parte di esse svolge quotidianamente, spesso in aggiunta ad altre occupazioni, senza quasi accorgersi di quanto fa e senza alcuna considerazione per ciò che fa.
Prendersi cura, accogliere, contenere, nutrire e trasformare: ciò che io chiamo il “femminile del femminile” e che nei simboli e nelle tradizioni rimanda al principio acquatico e lunare del femminile.
Acqua e Luna: un femminile ripudiato?
Acqua: capace di adattarsi a tutte le forme senza mai perdere la propria forma.
Metafora di disposizione all’inclusione, all’ascolto, al dialogo, alla relazione, al sentimento, senza timore di spezzarsi o di perdere sé stesse. Simbolo di quell’incredibile flessibilità che tutti i giorni sperimentiamo nell’abilità alle mansioni più disparate, spesso svolte contemporaneamente proprio come fa Gol-Sar e con essa disposizione all’unitarietà e alla sintesi.
Luna: capace di continuo mutamento.
Metafora di disposizione a trasformarsi e a trasformare. Simbolo di quella “erraticità” del mondo femminile profondamente connessa al ritmo ciclico del corpo della donna. Spesso interpretata solo negativamente è, al contrario, disposizione a vedere e comprendere la realtà sotto molteplici punti di vista, ad associare ragione e emozione, contemperare esigenze proprie e altrui, contesto interno e esterno, peraltro oggi ben dimostrata dalle numerose conferme scientifiche della maggiore attitudine all’integrazione che contraddistingue il cervello delle donne.
Nonché rinnovamento perenne, vita, “resilienza”.
Un lavoro femminile che raccoglie dunque la sapienza del corpo stesso delle donne e l’esperienza di generazioni di donne; ma tutto questo per Gol-Sar, come per tante donne, è “nulla”.
Un lavoro “invisibile”
Se in un circolo di amiche, come mi è capitato non molto tempo fa, ognuna racconta cosa fa nella vita, operaia, manager, artigiana, intellettuale, giornalista, tutte hanno un ruolo, tranne chi si trova nella posizione di Gol-Sar, che generalmente tende a stringersi nelle spalle e a dire “Nulla” io non faccio nulla.
Un sentimento di inadeguatezza, sfiducia e sottovalutazione delle proprie competenze e dei propri punti di vista, intuizioni, sentire immediato e spontaneo. Sentimento reso forse più acuto dal confronto sempre più ravvicinato e diffuso con la sfera lavorativa maschile: rapida, rigidamente lineare, solo razionale, continuativa, analitica, a cui ancora viene immancabilmente attribuito maggiore valore, anzi “il valore”.
Questo naturalmente non lo dico per indurre un ritorno alle mura domestiche e ai fornelli, ma per riflettere sulle funzioni, sulle specificità di un sapere e un potere del femminile così fondamentale, in qualsiasi ambito lo si voglia spendere e tuttavia, ancora oggi, così poco valutato sino al “Nulla”, percepito ancora trappo spesso dalle donne stesse.
Al contrario di un meccanismo produttivo che ha invece ormai ben chiare le potenzialità femminili di “multitasking”, ovvero capacità di svolgere più funzioni contemporaneamente, “empatia”, ovvero capacità di com-prendere l’altro, “resilienza”, ovvero capacità di assorbire una trasformazione senza rompersi.. e le utilizza sempre più ai propri fini trascinando nei propri ingranaggi donne troppo sovente neppure consapevoli del valore di cui sono portatrici.
Ciclicità, maternità e produttività: quale conciliazione?
Per non parlare dei conflitti che la persistente mancanza di reale “pari opportunità” per questi aspetti del femminile comporta.
In occasione dell’8 Marzo, l’agenzia di stampa britannica Reuters ha condotto una serie di interviste da cui emerge come molte neomamme in tutto il mondo sperimentano ansia e sensi di colpa al momento del ritorno al lavoro dopo il congedo di maternità, nonché preoccupazioni riguardo al prendersi una pausa dal lavoro per dare alla luce e accudire i loro neonati. Non solo, alcune temono che le politiche di maternità delle loro nazioni riflettano una società che predilige la produttività rispetto alla crescita dei figli.(1)
Penso a una giovane ostetrica da poco mamma che mi diceva: “sa dottoressa, mi sento sempre inadeguata e in colpa, se sono in casa con il bambino perché mi sembra di trascurare il lavoro e se sono al lavoro perché mi sembra di trascurare il bambino!”
O a una paziente cui si erano arrestate le mestruazioni, (come succede a tante!), perché la tensione lavorativa che la richiedeva sempre produttiva, attenta, controllata, “ragionevole”, era così forte che qualsiasi suo bioritmo, fluttuazione, “erraticità”, si era bloccato! E allora hai un bel dare la pillola, in realtà non si fa che mascherare un disagio che resta e anzi diventa sempre più profondo.
Il corpo insegna
Perché in realtà qualsiasi dimensione-stato d’animo- sofferenza o gioia, qualsiasi trasformazione della donna, si riflette molto facilmente sulla mestruazione e sulle funzioni fisiche proprie del femminile: fertilità, gravidanza, menopausa.
Gli stress, i conflitti, le problematiche sono il più delle volte espressi come alterazioni del ciclo mestruale, prima ancora di essere realizzati come modificazioni di stati d’ animo o sofferenza emotiva e psichica. Quindi anche molto prima che siano recepiti consapevolmente.
E quanti ne vedo di questi problemi e sovente c’è dietro proprio uno sforzo di reprimere i propri ritmi, i propri stati d’animo, le proprie emozioni/intuizioni, dunque una sorta di estraniamento da sé stesse, per “omologarsi”, per sentirsi accettate in una cultura che da secoli considera queste parti appunto “imprevedibili, volubili e inaffidabili” (2): inferiori, “nulla”.
<..interiorizzando quella sorta di “diavolo” culturale che svaluta in noi stesse, prima ancora che dall’esterno, tutto ciò che viene “dal fluttuare e dall’erraticità dell’anima femminile, dal sentimento e dalla guida dell’eros,” > (3)
E dunque induce le donne, per sfuggire al “nulla” dello stereotipo dell’angelo del focolare, a gettarsi a capofitto in un mondo lavorativo tuttora costruito sul modello maschile.
Una sintesi nuova
Oggi è un po’ come se fossimo in bilico, a un punto di svolta su una strada che, nonostante tante conquiste, mette ancora continuamente in discussione questa parte centrale della dimensione femminile, senza punti di riferimento e senza quasi che ce ne accorgiamo più, salvo ammalarsi (solo le anomalie del ciclo mestruale rappresentano in più del 15% dei casi il motivo che induce a rivolgersi al medico)
Quindi per star bene, per essere in forma, anzi per trovare la “nostra forma” abbiamo bisogno di ricontattare questa parte e avviare una sintesi nuova
Allora a questo punto la domanda è: come fare?
Da dove iniziare per ricontattare quella porzione della propria identità che ancora rimane sprofondata nel “nulla”, per ri-comprenderne la dignità, il valore, direi quasi la “necessità”, per uscire dal “nulla”?
Un punto fermo c’è ed è il CORPO. Vero e proprio “libro” in cui dobbiamo imparare o re-imparare a leggere e da cui possiamo partire per riflettere e riprendere contatto con le radici profonde dell’identità femminile.
Un percorso al femminile
Il percorso che propongo, parte proprio dal corpo della donna, dalle sue specificità, ritmi, esigenze, trasformazioni, dalla sua forza e dalla sua fragilità, rilette e decifrate attraverso le conoscenze scientifiche ma anche attraverso la lente dell’analogia e del simbolo vera e propria guida ad un approccio olistico capace di integrare elementi razionali con elementi della sfera emotiva, relazionale, ambientale.
“Rare sono le presone che usano la mente, poche coloro che usano il cuore, uniche coloro che le usano entrambe” (Rita Levi Montalcini)
Un percorso “al femminile” che dia la possibilità di sperimentare anche quelle voci interiori che consentono di dare forma ad una identità autentica, al di là dei modelli e delle censure, anche superando l’attuale cultura prevalentemente “razionale”, per trovare nuove vie.
E’ un viaggio affascinante perché realmente “Il corpo insegna“ e proprio attraverso le sue leggi possiamo imparare a “vedere” e ritrovare il valore di tutto quello che sino ad ora abbiamo solo guardato o addirittura subito.
1- Fonte: Reuters Health ( 7/3/’19 – Versione italiana Quotidiano Sanità/Nutri &Previeni)
2- C.Pinkola Estes ”Donne che corrono coi lupi” ed. Sperling & Kupfer