– Nel libro “La bambina che non esisteva” Siba Shakib, scrittrice e regista iraniana che si è molto occupata della condizione delle donne in Afghanistan, descrive questo dialogo che avviene tra due dei protagonisti:
“ dopo che ti sei alzata cosa fai, chiede Samir,“…nulla, non faccio nulla”, …“Nulla?”, “Accendo il fuoco, dice Gol-Sar” “E poi?” “Nulla” dice Gol-Sar, ride, “… accendi il fuoco e poi?”, “E poi vado al torrente a prendere l’acqua.” “E poi?” “ E poi metto la pentola sul fuoco, sveglio i miei fratelli e sorelle più piccoli, li lavo e, se ce l’abbiamo, do’ loro il tè. Poi impasto il pane, lo cuocio, torno al ruscello, lavo i vestiti, pulisco la tenda porto le capre al pascolo. … Nulla è una vita piena di Nulla”
Flessibilità e adattabilità
Credo che, al di là del contesto, questo brano metta a nudo con estrema immediatezza uno dei sentimenti dominanti che ancora oggi percepisco, o mi viene riportato da tante delle donne incontrate nel mio lavoro, rispetto a tutto ciò che incarna quello che io chiamo il “femminile del femminile”: il principio acquatico e lunare del femminile nei simboli e nelle tradizioni. Una dimensione che, come l’acqua, è capace di adattarsi a tutte le forme senza mai perdere la propria forma, sa accogliere, contenere, quindi anche prendersi cura, nutrire e trasformare. Dunque è metafora di disposizione all’ascolto, al dialogo, alla relazione, al sentimento. Quell’incredibile flessibilità che tutti i giorni sperimentiamo nell’attitudine alle mansioni più disparate, spesso svolte contemporaneamente, proprio come fa Gol-Sar, e con essa la disposizione all’unitarietà e alla sintesi, quindi alla capacità di cogliere più aspetti contemporaneamente. Una capacità oggi dimostrata anche dall’evidenza scientifica della maggiore integrazione tra l’emisfero cerebrale destro e sinistro nelle donne.
Mutevolezza e ritmi femminili
E ancora, quella dimensione che, come la luna, è la disposizione al mutamento, alla variabilità, alla erraticità. Una sorta di eterno ritorno connaturato a ciò che rappresenta l’impronta strutturale del femminile: il ritmo ciclico cui è legata “la possibilità di rinnovamento perenne, di comprendere le trasformazioni, di accettare che ogni ciclo abbia un termine, …”( C.PinKola Estès –Donne che corrono con i lupi), di capire come ogni aspetto della realtà sia profondamente connaturato agli occhi che la guardano, alla fase che si attraversa, di intuire.
Ma tutto questo per Gol-Sar, come per tante donne, è “nulla” . Se in un circolo di amiche, come mi è capitato non molto tempo fa, ognuna racconta cosa fa nella vita: operaia, manager, artigiana, intellettuale, giornalista, tutte hanno un ruolo, tranne chi si trova nella posizione di Gol-Sar, che generalmente tende a stringersi nelle spalle e a dire: ” “Nulla”, io non faccio nulla”.
Una percezione di sé, che diviene immediatamente un sentimento di insufficienza, di inadeguatezza, di sfiducia e sottovalutazione dei propri punti di vista, delle proprie intuizioni, del proprio sentire immediato, spontaneo. Sentimento reso forse ancora più acuto dal confronto sempre più ravvicinato e diffuso con la sfera lavorativa “maschile”, con il suo logos, la sua fredda razionalità, il perdurare, la continuità, l’analisi, in cui le donne sono sempre più immerse ma soprattutto a cui immancabilmente viene attribuito maggiore valore, anzi “il valore”.
Non a caso sovente i mass media, quando parlano delle donne impegnate nel lavoro di cura famigliare lo denunciano come rinuncia ad una occupazione “normale e dignitosa”.
Non dico questo per indurre un ritorno alle mura domestiche e ai fornelli, ma per riflettere sulle funzioni, sulle specificità di un ambito, di una capacità e di un potere del femminile così fondamentale e oggi così poco valutato, sino all’annullamento.
Per non parlare dei conflitti che la mancanza di “pari opportunità” per questi aspetti del femminile comporta.
Penso a una giovane ostetrica da poco mamma che mi diceva: “ sa dottoressa, mi sento sempre inadeguata e in colpa, se sono in casa con il bambino perché mi sembra di trascurare il lavoro e se sono al lavoro perché mi sembra di trascurare i bambino!”
E ancora, penso a una paziente cui si erano arrestate le mestruazioni, (come succede a tante!), perché la tensione lavorativa che la richiedeva sempre attenta, controllata, “ragionevole”, era così forte che qualsiasi suo bioritmo o fluttuazione si erano bloccate! In questi casi, dare la pillola, non fa che mascherare un disagio che resta, anzi: diventa sempre più profondo.
Forzare i propri ritmi causa squilibri
Perché in realtà qualsiasi dimensione-stato d’animo- sofferenza o gioia, qualsiasi trasformazione della donna, si riflette molto facilmente sulla mestruazione e sulle funzioni fisiche proprie del femminile
Gli stress, i conflitti, le problematiche sono il più delle volte espressi come alterazioni del ciclo mestruale, prima ancora di essere realizzati come modificazioni di stati d’ animo o sofferenza emotiva e psichica. Quindi anche molto prima che siano recepiti dalla coscienza!
Quante volte vedo questi problemi! Sovente nascondono lo sforzo di reprimere i propri ritmi, i propri stati d’animo, le proprie emozioni/intuizioni. Una sorta di estraniamento da se stesse, per sentirsi accettate in una cultura che da secoli considera queste parti appunto “imprevedibili, volubili e inaffidabili”(ibidem): inferiori, “nulla”.
La soluzione non è conformarsi ai modelli maschili
Per questo noi donne cerchiamo di conformarci alla stabilità e alla continuità, sfuggendo allo stereotipo dell’”angelo del focolare” e gettandoci a capofitto in un mondo lavorativo costruito unicamente su modello maschile ma “normale e dignitoso”. Troppo spesso interiorizziamo quella sorta di “diavolo” culturale che svaluta, a partire da noi stesse, prima ancora che dall’esterno, tutto ciò che viene “dal fluttuare e dall’erraticità dell’anima femminile, dal sentimento e dalla guida dell’eros,” (ibidem).
Oggi è un po’ come se fossimo in bilico, a un punto di svolta, su una strada che, nonostante tutte le conquiste, mette ancora continuamente in discussione questa parte centrale della dimensione femminile, senza punti di riferimento e senza quasi che ce ne accorgiamo più, salvo ammalarci(le anomalie del ciclo mestruale, per esempio, rappresentano in più del 15% dei casi il motivo che induce a rivolgersi al medico e la depressione è doppia nel sesso femminile rispetto a quello maschile).
Per star bene, per essere “in forma”, o meglio, per trovare la “nostra forma” abbiamo bisogno di ricontattare questa parte e di avviare una sintesi nuova.
Ricontattare la nostra identità più profonda
A questo punto la domanda è: come fare? Da dove iniziare per ricontattare quella parte della nostra identità più intima, che ancora rimane sprofondata nel “nulla”? Come ri-comprenderne la dignità, il valore, direi quasi la “necessità”?
Un punto fermo c’è ed è il corpo, una sorta di vero e proprio libro in cui dobbiamo imparare o re-imparare a leggere, da cui possiamo partire per riflettere e riprendere contatto con le radici profonde dell’identità femminile.
Il percorso che propongo, parte proprio dal corpo della donna, riletto e decifrato attraverso la lente dell’analogia e dei simboli che rappresentano una vera e propria guida per comprendere le specificità, i ritmi, le esigenze, le trasformazioni, la forza e la fragilità che gli appartengono. Insomma attraverso la possibilità di sperimentare e interpretare quelle voci interiori che consentono di dare forma ad una identità autentica e profonda, al di là dei modelli e delle censure, anche a dispetto del pensiero razionale, per continuare il cammino nella consapevolezza della propria realtà: con la propria specifica forza e i propri limiti.
E’ un viaggio affascinante, perché realmente “Il corpo insegna” e proprio attraverso le sue leggi possiamo imparare a “vedere” e ritrovare il valore di tutto quello che sino ad ora abbiamo solo guardato o addirittura subito.
Fiorenza Zanchi
Pat
Articolo molto interessante