Il lavoro femminile ha bisogno di nuove strade.
Un gruppo di imprenditrici traccia un percorso innovativo che valorizza le relazioni, la comunicazione e la molteplicità di ruoli di cui soprattutto le donne sono capaci.
Alcuni luoghi comuni sul lavoro femminile
Adoro il rosa, da quello shocking al malva, ma leggere e sentire parlare di imprese “rosa” ed economia “in rosa” mi scatena l’orticaria. Esiste forse un’economia “azzurra”? Se non vogliamo considerare quella dei puffi direi di no.
L’economia non ha colore perché non ha genere. Non esiste un’economia maschile e una femminile, esiste l’economia.
Quello che differisce in una visione imprenditoriale femminile da quella maschile è l’approccio al lavoro.
In venticinque anni di esperienza professionale come consulente di enti pubblici, enti di formazione e ricerca, associazioni di categoria e imprese mi sono dedicata a una lettura dell’economia e del mercato del lavoro che tenesse conto di queste diversità superando gli stereotipi.
Delle donne che dirigono imprese si sente spesso dire che hanno una gestione delle risorse umane improntata a uno stile materno, che nelle scelte finanziarie sono conservatrici e che la loro priorità è conciliare la famiglia con il lavoro.
Raramente si sente dire che la gestione delle risorse umane orientata a evitare il conflitto è dettata dalla consapevolezza che un clima di lavoro disteso significa maggior produttività, che le strategie aziendali perseguite tendono all’innovazione, più che alla conservazione e che la priorità è dare il giusto valore alla risorsa più preziosa per gli esseri umani – tutti senza distinzione di genere – il tempo.
L’influenza della crisi economica
Questi ed altri stereotipi si sono acuiti con il deflagrare della crisi economica, che già nel 2008 mi appariva epocale.
La dimensione epocale la intravedevo nel mutamento che portava con sé nella ridefinizione dell’identità personale rispetto a quella professionale.
Il modello economico occidentale, imperniato sull’uomo breadwinner- l’uomo che produce reddito per il sostentamento familiare- ci ha indotti a identificare le persone, e il loro valore, con il lavoro svolto e la discendente capacità di spesa.
Le donne hanno ricercato occupazioni che consentissero di coesistere con i carichi di cura familiare, segmenti nel mercato del lavoro il cui reddito si configura come aggiuntivo, integrativo, rispetto a quello del capo famiglia.
Il capo famiglia è colui che lavora e la donna è la moglie, la madre, la figlia, la sorella, la nuora e poi anche una donna che lavora.
L’identità maschile, strutturata su quella professionale, al venir meno del lavoro è collassata, mentre quella femminile, strutturata sulla molteplicità di ruoli, ha retto all’urto spingendo le donne a reagire in una situazione critica.
In altri momenti storici le donne hanno supplito all’assenza maschile nei ruoli produttivi, è accaduto nel periodo bellico e in quello immediatamente successivo dell’inurbamento con l’esodo dalle campagne alle città.
Ma questa volta è diverso. È diverso perché non accadrà quanto avvenuto in passato, questa volta, superato il ciclone, le donne non si ritrarranno, come la risacca, negli spazi occupati prima nel mercato del lavoro.
Di lava e d’acciaio. Storie di imprenditrici vulcaniche
È stata questa lettura dell’evolversi della crisi che mi ha convinta a cercare storie di imprenditrici da raccontare.
Non i numeri dell’azienda come il fatturato o gli utili ma i sogni, le paure, le sconfitte, i successi.
Un tributo alle tante donne che stanno reggendo l’economia. Alcune famose, altre schive e sconosciute.
Più di 80 storie per un affresco corale di ragazze dai venti ai novant’anni.
Ragazze che guidano imprese in tutti i settori economici, di tutte le dimensioni, in città e nelle aree ASI, di prima, seconda, terza e quarta generazione, nella fascia costiera e nell’entroterra.
Un comune denominatore: la passione e il coraggio.
Perché l’ho fatto? Perché la mia prozia mi ha trasferito l’amore per le storie e perché sentivo crescere dentro l’urgenza di uno scatto di dignità per un sistema economico che, troppo spesso, viene presentato come ambiguo: quello napoletano e casertano.
“Di lava e d’acciaio. Storie di imprenditrici vulcaniche” è il titolo scelto per le mie storie. Le storie, però, non sono solo di chi le scrive e così un gruppo di imprenditrici intervistate mi chiese di organizzare e rafforzare la rete di relazioni creata nei due anni impiegati per cercarle, incontrarle, ascoltarle e raccontarle.
Una associazione nata dalle storie
Dalla pagina scritta le storie, le nostre storie, quelle di un gruppo di donne che si sono conosciute e ri-conosciute, è nata tre anni fa EnterprisinGirls www.enterprisingirls.it. Un’associazione nazionale di imprenditrici, libere professioniste e donne impegnate nel terzo settore.
Lo scopo: individuare il talento e valorizzarlo attraverso un network. Le donne tendono a trascurare un aspetto fondamentale del mondo del lavoro, che invece gli uomini hanno più spazi per coltivare investendo tempo e risorse: il patrimonio delle relazioni.
Le relazioni sono opportunità.
Bisogna imparare che il tempo dedicato alle relazioni non è tempo sottratto alla cura familiare per cui sentirsi in colpa.
Bisogna, piuttosto, domandarsi a cosa si rinuncia non creando una rete relazionale.
Le donne possono fare squadra? Sì, se scelgono di condividere e non competere.
Ma poiché lavorare in squadra non appartiene alla nostra cultura ma a quella anglosassone è necessario imparare a farlo: EnterprisinGirls organizza seminari di coaching, team building, interventi di formazione, dalle strategie aziendali al piano di comunicazione, integrata passando per il public speaking e la progettazione a valere sui fondi diretti della Comunità Europea. Co- branding, co-marketing, campagne di comunicazione, visite in azienda e incontri per crescere insieme.
È facile? Per niente, ma è l’unica strada possibile, solo attraverso il dialogo tra le reti si può ricostruire un’economia in macerie come la nostra.
Insieme si cammina meno speditamente ma si arriva più lontano.