Un percoso di orientamento in quattro puntate guidato dall’avvocato Paola Dorigoni, esperta in diritto di famiglia.
La separazione dal coniuge o dal partner è un evento che sconvolge spesso profondamente la vita delle persone.
E’ un trauma che scuote dalle radici.
Ma è anche un processo di rinnovamento, un’occasione per acquisire una maggiore consapevolezza di sé.
In questa sede tuttavia non parlo delle conseguenze emotive della fine del rapporto di coppia né del rapporto tra cliente e avvocato: quando ci si incontra e si prendono decisioni in materia di separazione/divorzio.
Anche questo è un punto che può essere molto delicato, perchè l’avvocato segue, accompagna il cliente in un periodo in cui, nonostante le difficoltà, si deve essere in grado di prendere decisioni importanti, potenzialmente valide per un lungo periodo della propria vita.
Se vi interessa tratteremo questo tema.
Ora vorrei proporre una descrizione sintetica, ma spero esauriente, dei temi e delle decisioni che vengono prese quando il rapporto di coppia finisce.
Mi auguro così di poter completare le notizie sulle conseguenze della separazione e del divorzio, a volte frammentate, a volte non completamente corrette, che spesso si possiedono su questo tema.
Innanzitutto consideriamo che la separazione comporta la decisione sui seguenti punti cruciali:
1- l’assegnazione della casa coniugale;
2- l’affidamento e la collocazione dei figli minori o economicamente non autosufficienti;
3 – i diritti di visita del genitore “non collocatario” (spiegheremo poi la differenza tra il concetto di affidamento e di collocazione);
4 – l’assegno di mantenimento per il coniuge economicamente non autosufficiente.
I punti sono quattro, ma possono ridursi se il coniuge è economicamente autosufficiente, o se non ci sono figli.
Il quarto punto poi non esiste quando si separa una coppia non unita in matrimonio, perché il nostro ordinamento (nonostante le discussioni in proposito da oltre un decennio) non riconosce alcun diritto economico all’ex partner se non è sposato.
L’ assegnazione della casa coniugale/familiare
Espongo subito il primo punto: l’ assegnazione della casa coniugale/familiare.
Si parla di casa coniugale quando la coppia è sposata, di casa familiare quando la coppia non ha contratto matrimonio.
Non ha importanza la proprietà della casa: anche se la casa fosse dell’altro partner, la presenza di figli economicamente non autosufficienti giustifica il diritto del partner cui i figli vengono affidati, ad avere la possibilità di abitare.
Il principio vale anche per il partner non sposato: il genitore con il quale i figli convivono (in genere la madre) può rimanere nella casa familiare anche se è di proprietà del padre o, pure, dei genitori del padre.
La casa comprende anche l’arredamento perché ai figli viene assicurato intatto il così detto “habitat”, cioè l’ambiente in cui il figlio vive.
E’ naturale infatti che per un bambino (ma lo stesso vale se il figlio è adulto), la casa spogliata dai mobili non sia più lo stesso ambiente di prima, che invece ai figli va preservato.
Concludo questo primo punto precisando i due concetti espressi:
- diritto di abitare la casa familiare anche quando i figli sono maggiorenni purché non siano economicamente autosufficienti;
- diritto di continuare ad abitare nella casa coniugale di proprietà di terzi (un caso tipico: i genitori del marito, pur rimanendo proprietari hanno adibito una loro casa a residenza della famiglia del figlio);
Entrambi questi diritti hanno dei limiti, che valgono in particolari circostanze.
Se qualcuno fosse interessato ad approfondire per avere informazioni su questo o altri punti, potrà contattarmi al mio indirizzo di posta elettronica
Proseguirò la trattazione del prossimo punto: affidamento e collocazione dei figli minori o economicamente non autosufficienti, su questo sito tra 10 giorni.
Nel frattempo un caro saluto
Paola Dorigoni