“Conciliazione”, è la parola chiave per rispondere alle esigenze di lavoro declinate al femminile secondo Luisa Gardella, esperta in politiche del lavoro:
“Conciliazione dei tempi del lavoro con i tempi della famiglia e di cura, conciliazione tra il lavoro e i cambiamenti fisiologici e concreti più intensi di una donna, come maternità e menopausa, conciliazione tra uno stile di gestione basato sulla presenza e sul controllo e uno stile di gestione centrato sul raggiungimento di obiettivi, sull’autonomia organizzativa che concede spazi ai ritmi e alle esigenze individuali“.
Il punto allora è: quale percezione abbiamo dei “nostri” tempi?
Come ridare senso e valore ai ritmi e alle esigenze individuali per trovare nuove vie di lavoro, ma anche di salute, benessere ed espressione di potenzialità?
Nell’accelerazione in cui tutto e tutte siamo immerse, che cancella memorie prima ancora di costruirne di nuove, un punto fermo c’è: il corpo.
E il corpo della donna dipende da leggi vitali cicliche, è naturalmente e continuamente scandito da mutamenti profondi e periodici, che investono l’intero ambito della sua dimensione: ormonale, nervosa, immunitaria, psichica.
Punto di partenza di queste “trasformazioni” le mestruazioni. Esse immergono la donna in un ritmo che fluisce dalla pubertà alla menopausa, imprimendosi in tutti gli ambiti della vita definiti, fin dalla comparsa del primo flusso, dallo scorrere delle fasi del ciclo. Un ciclo legato da sempre al simbolismo lunare, per i sui periodici cambiamenti e proprio come la luna, da sempre considerato fonte di instabilità, mutevolezza, volubilità, discontinuità.
Oggi questa discontinuità sembra disturbare sempre di più, è vissuta come limite, impedimento, fragilità in un universo sociale e lavorativo che valorizza soprattutto l’efficienza lineare della produzione e chiede prestazioni senza vuoti e sospensioni.
Quante donne lottano contro l’instabilità e l’imprevedibilità del ciclo per affrontare impegni e ritmi di lavoro completamente estranei e dissociati dai loro tempi interni?
D’altra parte la discontinuità rappresenta esattamente l’alternanza dei ritmi, la “ciclicità” caratteristica dell’ipotalamo femminile; un susseguirsi periodico di picchi e cadute, di velocità e lentezza, di vuoti e di pieni, che garantisce l’ovulazione e dunque la fecondità, il germinare del nuovo.
Quando questa alternanza si blocca, o perde il suo ritmo, anche la creatività cessa. Si affievoliscono, così, le infinite sfumature percepite nella vita emotiva, sessuale, intellettiva e favorite dal ciclico mutare delle condizioni all’interno del corpo e della mente.
Proprio la discontinuità del ciclo mestruale insegna che flessibilità e alternanza sono elementi essenziali, perché si creino spazio e tempo necessari al germogliare di un nuovo seme; perché si manifesti nuova vita.
La ciclicità è quindi una funzione di rinnovamento, che agisce contemporaneamente sul piano fisico come su quello psichico, sociale, lavorativo e produttivo. Accanto a capacità di adattamento, attività, persistenza, pienezza, ci vogliono tempi e spazi vuoti, passività e inerzia per portare alla luce nuove idee e nuove azioni facendo nascere uno sguardo nuovo su noi stesse e sul mondo.
Così, la discontinuità non è più volubilità, incostanza, inaffidabilità, ma diventa valore sociale essenziale per la creatività e la fecondità, indispensabili per generare il nuovo; per produrre svolte reali con cambiamenti reali.
È questo l’insegnamento del corpo della donna. Conoscerne i ritmi, le alternanze di spazi pieni e vuoti, le caratteristiche, le potenzialità e i limiti è necessario per comprenderne il senso, prima di decidere come e se modificarli, reprimerli o rispettarli.
Roberta
È vero, i nostri ritmi sono discontinui, ma come conciliarli con i tempi del lavoro e della famiglia?
Io fatico ad imparare, forzandomi, mi adeguo ai ritmi imposti dall’esterno, che richiedono prestazioni costanti e efficaci in ogni momento. Qualcuna di voi ha esperienze da raccontare? Sarei felice di condividerle!
Michela
Lo riconosco, sono un po’ “lunatica”, alterno giorni lavorativi molto fertili e altri in cui, anche se sto al tavolo molte ore, non produco nulla. All’inizio questa apparente incapacità mi faceva paura, mi sforzavo di fare qualcosa e mi alzavo dal posto di lavoro sfinita, senza alcun risultato.
Con il tempo ho imparato a fare altro. Mi concedo lunghe passeggiate, cucino, bagno i fiori. Provo a non pensare a nulla. Spesso proprio in questi momenti emergono idee che inseguivo da tempo senza risultati e mi rimetto al lavoro appassionatamente.
Certo potersi permettere questa discontinuità è un lusso, lavoro in proprio, scelgo io i miei ritmi.
Gemma
Credo che esserne consapevoli, imparare a vedere quando stiamo “cedendo” verso l’esterno, sia già un passo importante. A me accade così, che quando me ne rendo conto sto già meglio. La “discontinuità” arriva a nostra insaputa, ecco perchè ci è difficile controllarla. Per me un aiuto enorme in questo commino di consapevolezza viene dallo Yoga.